Madre di Levi
È una giovane vedova che è stata sposata con un soldato di Roma di nome Cornelio, divenuto fabbro in una mascalcia della piana di Saron. A causa delle ferite subite che marcivano, Cornelio si ammala e muore, lasciando la donna vedova e con molti figli orfani da sfamare, tra cui un bambino di soli otto mesi e il figlio maggiore di nome Levi, che la donna ha appena condotto al Tempio per la cerimonia del Bar mitzvah (figlio della Legge).
Durante il Terzo anno della Vita pubblica[1] Gesù ha organizzato un banchetto di beneficenza a favore dei poveri di Gerusalemme, nel fastoso palazzo di Giovanna di Cuza, una principessa ebrea moglie di Cuza, l'intendente del re Erode Antipa, divenuta discepola del Signore. Gli invitati a questo convito d'amore voluto dal Signore sono “mendicanti, storpi, ciechi, orfani, vecchi, giovani vedove con i piccoli attaccati alle vesti o succhianti lo scarso latte della madre denutrita”[2]. Gesù entrando nell’ampio vestibolo si preoccupa di salutare e percorre il lungo vestibolo del palazzo per benedire tutti e accarezzare le canute teste di vegliardi o le innocenti testoline dei bambini.
Passa una giovane vedova con la sua chiocciata di bambini… Che miseria! Il più piccolo nudo affatto, stretto nello stracciato velo della madre… i più grandicelli con appena quel tanto da salvare la decenza. Solo il maggiore, un allampanato fanciullo, ha un abito che può dirsi tale, ma in compenso è scalzo.
Gesù osserva e chiama la donna dicendo: «Da dove vieni?».
«Dal piano di Saron, Signore. Levi mi è divenuto maggiorenne… E l’ho dovuto accompagnare al Tempio… io… posto che non ha più padre», e la donna piange senza rumore, il pianto muto di chi ha troppo pianto.
«Quando ti è morto l’uomo?».
«Fu un anno a scebat. Ero incinta di due lune…», e inghiotte i singhiozzi per non turbare, curvandosi tutta sul piccolino.
«Il pargolo ha dunque otto mesi?».
«Sì, Signore».
«Che faceva tuo marito?».
La donna mormora così piano che Gesù non capisce. Si curva per sentire dicendo: «Ripeti senza timore».
«Faceva il fabbro in una mascalcia… Ma fu malato molto… perché aveva ferite che marcivano». E termina pianissimo: «Era un soldato di Roma».
«Ma tu sei d’Israele?».
«Sì, Signore. Non mi scacciare per immonda come fecero i miei fratelli quando sono andata ad implorare pietà dopo la morte di Cornelio…».
«Non avere paure di tal genere! Che fai ora di lavoro?».
«La serva, se mi vogliono, la spigolatrice, la follatrice di panni, batto la canapa… di tutto… per sfamare questi. Levi ora farà il contadino… se lo vorranno, perché… bastardo nella razza».
«Confida nel Signore!».
«Non avessi confidato, mi sarei uccisa con tutti loro, Signore».
«Va’, donna. Ci vedremo ancora», e la congeda. (EMV 370.3)
Il giorno successivo, presso il Tempio, la madre di Levi è tra la folla che è presente per la festa di Parasceve e scopriamo che Gesù l'ha affidata a Giovanna di Cusa, che prenderà la famiglia al suo servizio nelle proprietà che possiede a Bétèr: la madre avrà un sicuro e stabile lavoro, mentre Levi verrà occupato nella coltivazione delle rose, scampando così al duro lavoro del bracciante agricolo.
«Una sua discepola ha preso il mio nome e mi ha detto di andare da lei dopo la Pasqua, ché mi conduce nelle sue campagne a Bétèr. Capisci, donna? Io e i figli. Lavorerò. Ma cosa è lavorare con protezione e sicurezza? Gioia è! E il mio Levi non si spezzerà nel lavoro dei grani. Perché la discepola che ci prende lo mette ai roseti… Un giuoco, ti dico! Ah! L’Eterno dia gloria e bene al suo Messia!», dice la vedova del piano di Saron ad una israelita benestante che la interroga.
«Oh! e io non potrei?… Siete tutti a posto, ormai, voi che ieri ha raccolti?», dice la donna ricca israelita.
«No, donna. Ci sono ancora altre vedove con figli e altri uomini».
«Vorrei dirgli se mi dà grazia di aiutarlo».
«Chiamalo!».
«Non oso».
«Va’ tu, Levi mio, a dirgli che una donna gli vuol parlare…». (EMV 373.2)
Anche questa donna d’Israele sarà invitata da Gesù ad andare al palazzo di Cusa a suo nome.
Origine del suo nome
Il nome della giovane vedova rimane anonimo.