Albula Domitilla

Da Wiki Maria Valtorta.
Albula Domitilla
Albula Domitilla porta a Ponzio Pilato il messaggio della moglie Claudia di «non avere a che fare con quel giusto». (Mt 27, 19)

È la donna di fiducia di Claudia Procula, la moglie di Ponzio Pilato, che definisce questa liberta romana una «seconda me stessa».[1]

È presente tra le dame romane che, in gran segreto, accompagnano Claudia Procula presso il palazzo di Cusa a Gerusalemme. Vanno, invitate da Giovanna di Cusa, per ascoltare gli insegnamenti del Maestro, ma Gesù ha organizzato diversamente, al palazzo si tiene un convito per i poveri della città. Maria Valtorta descrive l'arrivo delle dame romane che si presentano al palazzo di Cusa:
Sono sette donne, vestite di oscure e dimesse vesti simili a quelle delle ebree. Un velo è sul volto di tutte e un mantello le copre fino ai piedi. Due sono alte e maestose, le altre di media statura. Ma quando, dopo aver venerato il Maestro, si levano il mantello è facile riconoscere Plautina, Lidia, Valeria; la liberta Flavia, quella che ha scritto le parole di Gesù nel giardino di Lazzaro; e poi vi sono tre sconosciute. Una dallo sguardo uso al comando [Claudia Procula] e che pure si inginocchia dicendo al Signore: «E con me Roma si prostri ai tuoi piedi», e poi una formosa matrona sui cinquant’anni [Albula Domitilla], e infine una giovinetta [Egla] esile e serena come un fior di campo. [EMV 370.19]
Maria di Magdala si stupisce della presenza delle dame romane, in particolare di Claudia Procula, e offre un luogo riservato per non essere riconosciute. Ma Gesù ordina che anche loro, insieme ai discepoli e alle discepole, siano a servizio dei poveri, dando esempio di umiltà e carità:

«No, Maria. Alle tavole, a servire i mendichi. Nessuno potrà pensare che le patrizie siano serve ai poveri, agli infimi del mondo ebraico», dice Gesù.

«Bene sentenzi, o Maestro. Perché la superbia è innata in noi».

«E l’umiltà è il segno più netto della mia dottrina. Chi mi vuole seguire deve amare la Verità, la Purezza e l’Umiltà, avere carità per tutti ed eroismo per sfidare l’opinione degli uomini e le pressioni dei tiranni. Andiamo». [EMV 370.19]
Alla fine del pasto i poveri, che sono centinaia, inneggiano a Gesù grati per il banchetto e, finalmente, il Signore parla a tutti i presenti:
«Viva, sì, viva Gesù, non perché Io sono Gesù. Ma perché Gesù vuol dire l’amore di Dio fatto carne e sceso fra gli uomini per essere conosciuto e per far conoscere l’amore che sarà il segno della nuova èra. Viva Gesù perché Gesù vuol dire “Salvatore”. Ed Io vi salvo. Vi salvo tutti, ricchi e poveri, fanciulli e vegliardi, israeliti e pagani, tutti, purché voi vogliate darmi la volontà di essere salvati. Gesù è per tutti. Non è per questo o quello. Gesù è di tutti. Di tutti gli uomini e per tutti gli uomini. Per tutti sono l’Amore misericorde e la Salvezza sicura. Cosa è necessario fare per essere di Gesù, e perciò per avere salvezza? Poche cose. Ma grandi cose. Non grandi perché cose difficili come quelle che fanno i re. Ma grandi perché vogliono che l’uomo si rinnovelli per farle e per divenire di Gesù. Perciò amore, umiltà, fede, rassegnazione, compassione. Ecco. Voi, che discepoli siete, cosa avete fatto oggi di grande? Direte: “Nulla. Abbiamo servito un pasto”. No. Avete servito l’amore. Vi siete umiliati. Avete trattato da fratelli gli sconosciuti di tutte le razze, senza chiedere chi sono, se sono sani, se sono buoni. E lo avete fatto in nome del Signore. Forse speravate grandi parole da Me, per la vostra istruzione. Vi ho fatto fare grandi fatti. Abbiamo iniziato il giorno con la preghiera, abbiamo sovvenuto lebbrosi e mendichi, abbiamo adorato l’Altissimo nella sua Casa, abbiamo iniziato le agapi fraterne e la cura dei pellegrini e dei poveri, abbiamo servito perché servire per amore è essere simile a Me che sono Servo dei servi di Dio, Servo fino ad annichilimento di morte per ministrare a voi salvezza…». [EMV 370.21]
L'arrivo di un gruppo scalmanato di israeliti e dell'impudica Salomè pone fine al convito. Giuda di Keriot torna con la notizia che i nemici stanno cercando Gesù presso la casa nel Getsemani. Apostoli e discepoli sono assaliti da paura e sgomento, subito accettano la protezione offerta dalla coraggiosa Maria di Magdala e si ricoverano nel più sicuro palazzo di Lazzaro a Gerusalemme. Anche le dame romane vanno e durante il tragitto Claudia Procula fa chiamare Giuda di Keriot per offrire la sua personale protezione al Maestro. Albula Domitilla sarà la persona fidata a cui rivolgersi per arrivare direttamente a lei e proteggere Gesù in caso di necessità:

«Sì. Io. Alzati e ascolta. Tu ami il Nazareno. Del suo bene ti preoccupi. Bene fai. È un virtuoso e va difeso. Noi lo veneriamo come grande e giusto. I giudei non lo venerano. Lo odiano. So. Ascolta. E intendi bene, e bene ricorda e applica. Io lo voglio proteggere. Non come la lussuriosa di poc’anzi. Con onestà e virtù. Quando il tuo amore e la tua sagacia ti lasceranno capire che vi è insidia per Lui, vieni o manda. Claudia tutto può su Ponzio. Claudia otterrà protezione per il Giusto. Intendi?».

«Perfettamente, domina. Il nostro Dio ti protegga. Verrò, solo che possa, verrò io, personalmente. Ma come passare da te?».

«Chiedi sempre di Albula Domitilla. È una seconda me stessa, ma nessuno si stupisce se parla con giudei, essendo quella che si occupa delle mie liberalità. Ti crederanno un cliente. Forse ti umilia?».

«No, domina. Servire il Maestro e ottenere la tua protezione è onore».

«Sì. Vi proteggerò. Una donna sono. Ma sono dei Claudi. Posso più di tutti i grandi in Israele perché dietro me è Roma. Tieni, intanto. Per i poveri del Cristo. Il nostro obolo. Però… vorrei essere lasciata fra i discepoli questa sera. Procurami questo onore e tu sarai protetto da Claudia».

Su un tipo come l’Iscariota le parole della patrizia operano prodigiosamente. Egli va al settimo cielo!… Osa chiedere: «Ma tu veramente lo aiuterai?».

«Sì. Il suo Regno merita di essere fondato, perché è regno di virtù. Ben venga, in opposizione alle laide onde che coprono i regni attuali e che schifo mi fanno. Roma è grande, ma il Rabbi è ben più grande di Roma. Noi abbiamo le aquile sulle nostre insegne e la superba sigla. Ma sulle sue saranno i Geni e il santo suo Nome. Grande sarà, veramente grande Roma, e la Terra, quando metteranno quel Nome sulle loro insegne e il suo segno sarà sui labari e sui templi, sugli archi e le colonne».

Giuda è trasecolato, sognante, estatico. Palleggia la pesante borsa che gli è stata data, e lo fa macchinalmente, e dice col capo di sì, di sì, di sì, a tutto…

«Or dunque andiamo a raggiungerli. Alleati siamo, non è vero? Alleati per proteggere il tuo Maestro e il Re degli animi onesti». [EMV 371.3]
Albula Domitilla insieme a Plautina, Lidia e Valeria si reca in missione a Cesarea Marittima per incontrare Gesù. Le quattro dame romane sono state inviate direttamente da Claudia Procula, camuffate da donne greche, per verificare se quanto Giuda di Keriot le ha riferito fosse vero. Giuda, infatti, ha provato a negoziare segretamente il sostegno di Roma per un’illusoria presa di potere di Gesù e la restaurazione del Regno d'Israele.[2]. In realtà Gesù parlava di essere Re di un unico Regno spirituale, per tutti gli uomini:
«Venite…», dice Gesù alle donne. E con esse va in fondo alla piazza, sotto la tettoia fetente, dentro lo stanzino stretto come una cella, dove sono attrezzi rotti, cenci, scarti di canapa, ragnatele gigantesche, e dove l’odore del macero e della muffa mordono in gola, tanto sono acuti. Gesù, che è molto serio e pallido, ha un breve sorriso dicendo: «Non è luogo consono ai vostri gusti… Ma non ho altro…».

«Non vediamo il luogo, perché vediamo Chi lo abita in questo momento», risponde Plautina levandosi velo e mantello, imitata dalle altre che sono Lidia, Valeria e la liberta Albula Domitilla.

«Da ciò arguisco che, nonostante tutto, voi mi credete ancora un giusto».

«Di più che un giusto. E Claudia ci manda appunto perché ti crede più che un giusto e non tiene conto delle parole udite. Però ne vuole conferma da Te per darti raddoppiata venerazione».

«O levarmela, se le appaio come vollero illustrarmi. Ma rassicuratela. Io non ho mire umane. Il mio ministero e il mio desiderio è tutto e soltanto soprannaturale. Voglio, sì, riunire in un unico regno tutti gli uomini. Ma che degli uomini? La carne e il sangue? No. Quello lo lascio, materia labile, alle labili monarchie, agli incerti imperi. Io voglio riunire sotto il mio scettro soltanto gli spiriti degli uomini, spiriti immortali in un regno immortale. Io ripudio ogni altra versione della mia volontà, data da chicchessia, diversa a questa. E vi prego credere, e dire a colei che vi manda, che la Verità non ha che una sola parola…».

«Il tuo apostolo parlava con tale sicurezza…».

«È un fanciullo esaltato. Va ascoltato per tale».

«Ma ti nuoce! Rimproveralo… Scaccialo…».

«E la mia misericordia dove sarebbe allora? Egli fa ciò per un errato amore. Non devo compatire perciò? E che si muterebbe se Io lo scacciassi? Egli farebbe doppio male a lui e a Me».

«Allora ti è come una palla al piede!…».

«Mi è come un infelice da redimere…». [EMV 426.4]

Probabilmente è ancora lei la liberta che accompagna Claudia Procula ad Efraim, dove Gesù si è ritirato dopo il suo esilio,[3] per offirgli la sua protezione. In quell'occasione Gesù guarisce in modo miracoloso Callisto, lo schiavo nero di Claudia a cui era stata mutilata la lingua. E con la parola gli restituisce anche la libertà, affinché torni nella sua terra natia per dare testimonianza a Cristo.[4]

Durante il processo a Gesù che si tiene presso il Pretorio, è lei che porta a Ponzio Pilato il messaggio della moglie Claudia Procula, riportato nel Vangelo secondo Matteo:
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: "Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua". [Mt 27, 19]
Questo episodio viene riportato anche nell'Opera principale di Maria Valtorta:

«Ponzio, la liberta di Claudia Procula chiede di entrare. Ha uno scritto per te».

«Domine! Anche le donne ora! Venga».

Entra una romana e si inginocchia porgendo una tavoletta cerata. Deve essere quella su cui Procula prega il marito di non condannare Gesù. La donna si ritira a ritroso mentre Pilato legge.

«Mi si consiglia evitare il tuo omicidio. È vero che sei più di un aruspice? Mi fai paura».

Gesù tace.

«Ma non sai che ho potere di liberarti o di crocifiggerti?».

«Nessun potere avresti, se non ti fosse dato dall’alto. Perciò, chi mi ha dato nelle tue mani è più colpevole di te».

«Chi è? Il tuo Dio? Ho paura…».

Gesù tace.

Pilato è sulle spine. Vorrebbe e non vorrebbe. Teme il castigo di Dio, teme quello di Roma, teme le vendette giudee. Vince un momento la paura di Dio. Va sul davanti dell’atrio e tuona: «Non è colpevole».

«Se lo dici, sei nemico di Cesare. Chi si fa re è suo nemico. Tu vuoi liberare il Nazzareno. Faremo sapere a Cesare questo».

Pilato viene preso dalla paura dell’uomo.

«Lo volete morto, insomma? E sia. Ma il sangue di questo giusto non sia sulle mie mani», e fattosi portare un catino si lava le mani alla presenza del popolo, che pare preso da frenesia mentre urla: «Su noi, su noi il suo sangue. Su noi ricada e sui nostri figli. Non lo temiamo. Alla croce! Alla croce!». [EMV 604.34]

Carattere ed aspetto fisico

Una robusta matrona di circa cinquant’anni. È intraprendente ma discreta, fidata amica di Claudia Procula che gli affida incarichi delicati e importanti.

Percorso apostolico

Come il piccolo gruppo di donne romane, anche lei diventa credente.[5] Durante le ore che precedono la cattura e la Passione di Gesù, come riferisce Simone Zelote, si è rifugiata nel palazzo di Cusa, insieme ad altre donne discepole:
«Tanto che egli ha detto a Giovanna di ritirarsi in una loro casa in Giudea. Ma Giovanna vuole rimanere qui. Chiusa nel suo palazzo, come se non ci fosse. Ma non si allontana. È con lei Plautina, Anna, Niche e due dame romane della casa di Claudia. Piangono, pregano e fanno pregare gli innocenti». [EMV 602.7]

Origine del suo nome

Il nome Albula deriva dal latino albus, che significa “bianco”, “di colore chiaro”. Oltre ad essere un idronimo (nome di corso d’acqua o di lago), è usato anche come nome proprio femminile, sebbene molto raro. In particolare Albula era un antico nome del fiume Tevere, probabilmente in riferimento al colore chiaro delle sue acque nei tempi antichi.

Il nome Domitilla è un diminutivo femminile del nome Domitia, che proviene da una gens romana (Domitia gens). Il significato più probabile è legato al termine domitus, che significa “domato”, “addomesticato”, quindi “piccola/domata Domitia”. È legato a figure storiche e religiose come Santa Domitilla, una martire cristiana dei primi secoli, molto venerata. Il nome evoca un tono nobile, antico e quasi imperiale.

Dove la incontriamo nell’Opera?

EMV 370 EMV 371 EMV 378

EMV 426

EMV 563

EMV 602 EMV 604

Concordanze storiche

Flavia Domitilla
Flavia Domitilla la maggiore, moglie di Vespasiano

Secondo lo studioso valtortiano Jean-François Lavère l’identità di Albula Domitilla pone degli interrogativi infatti, le fonti storiche di questo periodo, a partire da Svetonio in “Vita di Vespasiano”, ci riferiscono di una certa Domitilla moglie di Flavio Liberale, un semplice cancelliere del tesoriere della legione «X Fretensis», di stanza proprio in Siria e in Palestina. Questa umile coppia è nota per la fortunata sorte della loro figlia, Flavia Domitilla detta la maggiore, che sposò un plebeo dal destino eccezionale: Vespasiano, il futuro imperatore di Roma. Probabilmente non visse abbastanza da divenire imperatrice ma lasciò due figli, Tito e Vespasiano, che furono, a loro volta imperatori.

Maria Valtorta non dice nulla del marito di Albula Domitilla, se fosse vivo o morto non è dato sapere, ma menziona più volte al suo fianco la liberta Flavia. Gli indizi che ricaviamo dagli scritti di Maria Valtorta sembrano concordare con le fonti storiche.

Flavia Domitilla la maggiore fu la favorita di Statilio Capella, un cavaliere romano originario di Sabrata in Africa. Aveva cittadinanza latina ma fu dichiarata cittadina romana grazie ad un giudizio promosso dal padre. Nel 38/39 sposò Vespasiano, che trent’anni dopo fu nominato imperatore, e divenne madre di Tito, Domiziano e di Domitilla, quest’ultima madre di santa Domitilla (Flavia Domitilla), esiliata come cristiana per ordine di suo zio.

Note