Alessandro di Enon
Il personaggio di Alessandro di Enon compare nell'Opera di Maria Valtorta in un episodio ambientato nel villaggio samaritano di Enon, verso la fine del terzo anno di vita pubblica, nel periodo indicato come “Preparazione alla Passione di Gesù”. Alessandro di Enon è una persona anziana e molto crudele, che aveva accolto il giovane Beniamino, un fanciullo suo parente rimasto orfano, non per compassione ma solo per sfruttarlo come servo pastore. La sua figura è descritta come quella di un aguzzino, un uomo violento e temuto, capace di compiere atti di vendetta contro gli altri abitanti del paese e che reagisce in modo furioso anche nei confronti di Gesù, arrivando a lanciarli contro una scure e a pronunciare una sentenza su sé stesso: «Che Dio mi accechi se mento e se ho peccato! E che io mi acciechi piuttosto di adorare un pazzo nazareno!».[1] La Giustizia di Dio ascolta lo spergiuro e accoglie immediatamente la sua maledizione: Alessandro di Enon viene colpito da una cecità improvvisa.
L'episodio evidenzia il contrasto tra la durezza del cuore umano e la misericordia divina, sottolineando l'importanza del pentimento. Alessandro di Enon, nonostante la possibilità di redenzione che gli viene offerta da Gesù, persiste nella sua ostinazione, rappresentando così un monito sulla chiusura al pentimento e alla Grazia di Dio.
Gesù si era messo in cerca di Alessandro di Enon per porre termine a un'ingiustizia che il povero pastorello Beniamino gli aveva confidato, quando lo aveva incontrato nei pressi della grotta dove Giovanni il Battista aveva trovato rifugio.[2] Il giovane Beniamino, in precedenza, aveva ascoltato dei discepoli di Gesù che gli avevano parlato del Cristo e del Regno dei Cieli, tra essi il pastore Isacco, che lo aveva ammaestrato e che Beniamino considerava come un padre e una madre. Isacco, impietositosi per le violenze e le percosse che Alessandro di Enon infliggeva al giovane, aveva deciso di riscattarlo in cambio di una somma di denaro. Ma Alessandro, dopo aver intascato il denaro, si rifiuta di liberare l'infelice Beniamino. Così Gesù, accompagnato dal vecchio Eli (ormai cieco), dall'anziano Levi e da Giona, tre notabili di Enon che dovranno fare da testimoni, si mette alla ricerca di Alessandro che è presso un bosco di Enon, per riscattare il giovane Beneamino:«[…] Ma non è rumore di scure su dei tronchi questo?».
«Lo è».
«Allora… Qui vicino è Alessandro… Chiamalo».
«Sì. Voi rimanete qui. Se potrò fare da Me non vi chiamerò. Non vi mostrate se non vi chiamo». Va avanti e chiama forte.
«Chi mi vuole? Chi sei?», dice un uomo anziano, robustissimo, dal profilo duro e dal torace e le membra di lottatore. Un colpo di quelle mani deve essere come un colpo di clava: brutale.
«Sono Io. Uno sconosciuto che ti conosce. Vengo a prendere ciò che è mio».
«Tuo? Ah! Ah! Cosa è tuo in questo bosco mio?».
«Nel bosco nulla. Nella tua casa, mio è Beniamino».
«Tu sei pazzo! Beniamino è il mio servo».
«E parente. E tu sei il suo aguzzino. E un mio messo ti dette il denaro che chiedevi per avere il fanciullo. E tu prendesti il denaro e negasti il fanciullo. Il mio messo, uomo di pace, non reagì. Io vengo per la giustizia».
«Il tuo messo si sarà bevuto il denaro. Io non ho avuto nulla. E mi tengo Beniamino. Gli voglio bene».
«No. Lo odi. Vuoi bene alla mercede che non gli dài. Non mentire. Dio punisce i mentitori».
«Io non ho avuto denaro. Se Tu hai parlato con il mio servo, sappi che egli è un astuto mentitore. E io lo percuoterò perché mi calunnia. Addio!», gli volta le spalle e fa per andarsene.
«Bada, Alessandro, che Dio è presente. Non sfidare la sua bontà».
«Dio! Ha forse da tutelare i miei interessi Dio? Io solo li devo tutelare e li tutelo».
«Bada!».
«Ma chi sei, miserabile galileo? Come ti permetti di rimproverarmi? Io non ti conosco».
«Tu mi conosci. Sono il Rabbi di Galilea e…».
«Ah! sì! E credi di farmi paura. Non temo né Dio né Belzebù, io. E vuoi che io tema Te? Un pazzo? Va’, va’! Lasciami al lavoro. Va’, ti dico. Non mi guardare. Credi che i tuoi occhi mi possano far paura? Cosa vuoi vedere?».
«I tuoi delitti no, perché li conosco tutti. Tutti. Anche quelli che nessuno conosce. Ma voglio vedere se neppur comprendi che questa è l’ultima ora di misericordia che Dio ti dà per pentirti. Voglio vedere se il rimorso non sorge a fenderti il cuore di pietra, se…».
L’uomo, che ha in mano la scure, la lancia verso Gesù, che si china rapido. La scure fa un arco sopra il suo capo e va a percuotere un giovane leccio, che viene spezzato di netto e che cade con gran fruscio di fogliame e frullo di uccelli spaventati.
I tre, nascosti poco lontano, balzano fuori urlando, paurosi che anche Gesù sia stato colpito, e colui che non vede grida: «Oh! vedere! Vedere se Egli è realmente senza ferita! Per questo solo la vista, o Dio eterno!». E, sordo a tutte le assicurazioni altrui, si avanza brancolando, perché ha perso il bastone e vuole toccare Gesù per sentire se non sanguina in alcun posto del corpo, e geme: «Un raggio di luce chiara, e poi le tenebre. Ma vedere, vedere, senza questo velo che appena mi concede di indovinare gli ostacoli…».
«Non ho nulla, padre, sentimi», dice Gesù toccandolo e facendosi toccare.
Intanto gli altri due hanno parole dure per il violento e gli rinfacciano colpe e menzogne, ed egli, privo della sua scure, trae fuori un coltello e si avventa per colpire, bestemmiando Dio, schernendo il cieco, minacciando gli altri, veramente simile ad una belva infuriata. Ma barcolla, si arresta, lascia cadere il pugnale, si strofina gli occhi, li apre, li chiude, poi ha un urlo tremendo: «Non ci vedo più! Aiuto! I miei occhi… Le tenebre… Chi mi salva?».
Gridano anche gli altri. Di stupore. E anche lo irridono dicendo: «Dio ti ha ascoltato». Infatti, fra le sue bestemmie, erano queste: «Che Dio mi acciechi se mento e se ho peccato. E che io mi acciechi piuttosto di adorare un pazzo nazareno! Riguardo a voi, farò le vendette e spezzerò Beniamino come quella pianta…». E lo irridono anche, dicendo: «Or fa le vendette…».
«Non siate come lui. Non odiate», consiglia Gesù e carezza il vecchione, che non si preoccupa di nulla che non sia la incolumità di Gesù, e per rassicurarlo dice: «Alza il volto! Guarda!».
Il miracolo si compie. Come là, al violento, le tenebre, così qui al giusto la luce. Ed è un grido, diverso, beato, che si alza sotto le piante robuste: «Io vedo! I miei occhi! La luce! Te benedetto!», e il vecchio fissa Gesù con occhi ben lucenti di nuova vita, e poi si prostra a baciarne i piedi.
«Andiamo noi due. Voi ricondurrete in Enon quel disgraziato. E siate pietosi, perché già Dio lo ha punito. E basta Dio. L’uomo sia buono con ogni sciagura».
«Prenditi il fanciullo, le pecore, il bosco, la casa, i denari. Ma rendimi la vista. Non posso rimanere così».
«Non posso. Ti lascio tutto ciò per cui divenisti peccatore. Mi prendo l’innocente perché ha già patito il martirio. Nelle tenebre possa la tua anima aprirsi alla Luce». [EMV 574.8-10]
Carattere ed aspetto fisico
Maria Valtorta lo descrive come un uomo già anziano ma molto robusto e forte, dal profilo duro, con un torace e arti da lottatore. Un colpo delle sue mani dovrebbe essere come un brutale colpo di mazza. Mentre il vecchio Eli, prima di accompagnare Gesù da Alessando di Enon, di lui dice questo:
Il vecchione dice: «Tu sei buono. Ma Alessandro è una belva. Un lupo è. Non so se… Ma io sono ricco quel tanto che basti a darti denaro per Beniamino, se Alessandro ne vorrà ancora. I miei figli non hanno bisogno dei denari miei. Io sono vicino al secolo, e il denaro non serve per l’altra vita. Un’azione di umanità sì, ha valore…».«Perché non l’hai fatto prima?».
«Non mi rimproverare, Rabbi. Io sfamavo il fanciullo e lo confortavo perché non divenisse malfattore. Alessandro è tale da far diventare feroce una tortorina. Ma non potevo, nessuno poteva levargli il fanciullo. Tu… te ne vai lontano. Ma noi… qui si resta, e le sue vendette sono temute. Un giorno uno di Enon si interpose perché, ubriaco, batteva a morte il fanciullo, ed egli, non so come fece, riuscì ad avvelenargli il gregge».
«Non è mal pensiero?».
«No. Attese molti mesi. L’inverno. Quando le pecore stanno nel chiuso, e avvelenò le acque della vasca. Bevvero. Gonfiarono. Morirono. Tutte. Siamo tutti pastori qui, e si comprese… Per sicurezza fu fatto mangiare di quelle carni ad un cane, e il cane morì. E ci fu chi vide Alessandro entrar furtivo nel chiuso… Oh! egli è un malfattore! Noi lo temiamo… Crudele, sempre ebbro la sera. Spietato con tutti i suoi. Ora, morti tutti, tortura il ragazzo».
«E allora non venire se…».
«Oh! no. Io vengo. La verità va detta». [EMV 574.6]
Percorso apostolico
Alessandro di Enon non sembra essere capace di poter redimere il suo cuore ormai indurito nell'egoismo e la punizione divina che lo rende cieco non muta il suo animo. Il vecchio Eli, prima di congedarsi da Beneamino che lascia il paese insieme al Signore e agli Apostoli lo saluta chiedendoli di perdonare il male subìto da Alessandro di Enon:
Eli lo bacia e benedice e gli dice: «E perdona all’infelice».«Perché? Perdonare sì. Ma perché infelice?».
«Perché bestemmiò il Signore e la luce si spense nei suoi occhi. Nessuno di noi lo potrà più temere. Egli è nelle tenebre e nell’infermità. Tremenda potenza di Dio!…». Il vecchio pare un profeta ispirato, così a braccia alte, volto al cielo, meditabondo su ciò che ha visto.
Gesù lo saluta e fende la piccola folla agitata; se ne va, e dietro Lui se ne vanno apostoli e discepole, e se ne va Beniamino, salutato dalle donne, le quali vogliono dare un pegno al prediletto dal Signore: un frutto, una borsa, un pane, una veste, ciò che trovano lì per lì. Ed egli, felice, le saluta, le ringrazia, dice: «Sempre buone con me! Lo ricorderò. Pregherò per voi. Mandate i vostri figli al Signore. È bello stare con Lui. È la Vita. Addio! Addio!…». [EMV 574.11]
Gesù allontanandosi da Enon è felice, chiama Beniamino presso di sé e Maria Valtorta descrive la scena:
Sorride Gesù, volgendosi a guardarlo, e il suo sorriso, come sempre, pare far più luminoso tutto, e lo chiama dicendo: «Vieni qui, agnellino di Dio. Ti voglio insegnare un bel canto». E intona, seguito dagli altri, il salmo: «Il Signore è il mio Pastore. Non mi mancherà di nulla. Egli mi ha posto in luogo di abbondanti pascoli», ecc. (22° salmo)[3]… La bellissima voce di Gesù si sparge per la campagna ubertosa, primeggia sulle altre, anche sulle migliori, tanto è potente nella sua gioia. [EMV 574.12]
Ma la Beata Vergine Maria, che è sua Madre e conosce bene il Figlio, è triste:
«Ma perché sempre piangi, Maria? Anche ora che tuo Figlio ebbe un’ora di gioia!», si lamenta Maria d’Alfeo. «Non fu tutta gioia, poiché il colpevole non si pentì. Gesù è in completa gioia quando può redimere…». [EMV 574.13]
Origine del suo nome
Alessandro deriva dal greco Alexandros e significa "difensore degli uomini" o "protettore di uomini".
Dove lo incontriamo nell’Opera?
EMV 574